venerdì 22 marzo 2013

Diritto del lavoro in Italia

La storia del diritto del lavoro in Italia inizia nella seconda metà del XIX secolo. La "questione sociale" creata dal mutamento dei rapporti di lavoro, a seguito della rivoluzione industriale, sfocia nella lotta di classe. Da una parte i lavoratori, le masse di cittadini in condizioni socioeconomiche misere, e dall'altra i datori di lavoro (capitalisti). Lo Stato interviene per mediare tra le parti alla ricerca di un patto sociale stabile e durevole. Si tratta, tuttavia, di interventi episodici che riconoscono progressivamente sempre più diritti ai lavoratori ed introducono doveri ai datori di lavori. Nel Codice Civile italiano del 1865 il legislatore non disciplina ancora il rapporto di lavoro bensì alcune forme di locazione di opere e servizi. Soltanto nel periodo a cavallo tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento comincia a concretizzarsi una prima forma di legislazione sociale. Nel 1886 il Parlamento emana la prima legge italiana a tutela delle donne e dei minori, le cosiddette "mezze forze", con la Legge 3657. La materia viene ulteriormente integrata e aggiornata nel 1902 (L.242/1902) e nel 1907 (L.818/1907). Nel 1907 viene anche introdotta una regolamentazione a tutela del riposo settimanale e festivo dei lavoratori con l'emanazione della Legge 489/1907. Le prime forme di legislazione sociale in Italia consistono in interventi specifici del legislatore. Soltanto negli anni '20, in epoca fascista, sono emanati i primi interventi organici sulla materia con l'emanazione del Reggio decreto legislativo n.1825 del 1924, recante le norme sulla disciplina del rapporto di lavoro degli impiegati. e con il contratto collettivo corporativo. Il processo di sistemazione organica del rapporto di lavoro in epoca fascista si conclude con l'approvazione del Codice Civile italiano del 1942 dove al lavoro viene dedicata una sezione specifica del Libro V. Il diritto del lavoro diventa a tutti gli effetti una branca del diritto privato. Con la caduta del fascismo e la proclamazione della Repubblica le norme sul rapporto di lavoro ottengono una ulteriore rivisitazione e sviluppo. Nella Costituzione repubblicana del 1948 il lavoro è uno degli elementi fondanti della Repubblica Italiana. La Costituzione italiana cita il lavoro come uno dei principi fondamentali della Repubblica italiana fin dal primo articolo. Articolo 1 Costituzione: "L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro." Articolo 35 Costituzione: "La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero." In epoca repubblicana l'Italia conosce una seconda fase della legislazione sociale. Fino ad allora il legislatore si è preoccupato di tutelare il lavoratore subordinato dallo sfruttamento e dalla sua posizione di inferiorità. Con la Costituzione il legislatore pone i presupposti per interventi a favore della promozione della libertà e della dignità sociale dei lavoratori. Nell'ordinamento giuridico italiano del dopoguerra le principali fonti giuridiche del diritto del lavoro sono il codice civile, lo Statuto dei diritti dei lavoratori (legge 300 del 20 maggio 1970) e altre leggi complementari ed integrative del legislatore come la legge 29/1993 sulla riforma del diritto del lavoro pubblico, la legge 30/2003 (legge Biagi) e il D.Lgs. 276/2003 sulle forme di flessibilità e di liberalizzazione del mercato del lavoro privato. Alla fine del secolo Novecento e nei primi anni Duemila si registra una inversione di tendenza. Il rischio della crisi economica, la globalizzazione ed una bassa crescita economica spingono il legislatore italiano ad interventi finalizzati a rimuovere alcune garanzie, riconosciute in passato ai lavoratori, allo scopo di favorire la competitività delle imprese italiane nei confronti del resto del mondo e indirettamente l'occupazione. Le nuove norme sulla flessibilità del lavoro si traducono, spesso, in una situazione di perdurante precarietà ed inferiorità dei lavoratori, in particolar modo per quelli più giovani e per quelli più anziani.

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