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La storia del diritto del lavoro in Italia inizia nella seconda metà del
XIX secolo. La "questione sociale" creata dal mutamento dei rapporti di
lavoro, a seguito della rivoluzione industriale, sfocia nella lotta di
classe. Da una parte i lavoratori, le masse di cittadini in condizioni
socioeconomiche misere, e dall'altra i datori di lavoro (capitalisti).
Lo Stato interviene per mediare tra le parti alla ricerca di un patto
sociale stabile e durevole. Si tratta, tuttavia, di interventi episodici
che riconoscono progressivamente sempre più diritti ai lavoratori ed
introducono doveri ai datori di lavori. Nel Codice Civile italiano del
1865 il legislatore non disciplina ancora il rapporto di lavoro bensì
alcune forme di locazione di opere e servizi. Soltanto nel periodo a
cavallo tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento comincia a
concretizzarsi una prima forma di legislazione sociale. Nel 1886 il
Parlamento emana la prima legge italiana a tutela delle donne e dei
minori, le cosiddette "mezze forze", con la Legge 3657. La materia viene
ulteriormente integrata e aggiornata nel 1902 (L.242/1902) e nel 1907
(L.818/1907). Nel 1907 viene anche introdotta una regolamentazione a
tutela del riposo settimanale e festivo dei lavoratori con l'emanazione
della Legge 489/1907. Le prime forme di legislazione sociale in Italia
consistono in interventi specifici del legislatore. Soltanto negli anni
'20, in epoca fascista, sono emanati i primi interventi organici sulla
materia con l'emanazione del Reggio decreto legislativo n.1825 del 1924,
recante le norme sulla disciplina del rapporto di lavoro degli
impiegati. e con il contratto collettivo corporativo. Il processo di
sistemazione organica del rapporto di lavoro in epoca fascista si
conclude con l'approvazione del Codice Civile italiano del 1942 dove al
lavoro viene dedicata una sezione specifica del Libro V. Il diritto del
lavoro diventa a tutti gli effetti una branca del diritto privato. Con
la caduta del fascismo e la proclamazione della Repubblica le norme sul
rapporto di lavoro ottengono una ulteriore rivisitazione e sviluppo.
Nella Costituzione repubblicana del 1948 il lavoro è uno degli elementi
fondanti della Repubblica Italiana. La Costituzione italiana cita il
lavoro come uno dei principi fondamentali della Repubblica italiana fin
dal primo articolo.
Articolo 1 Costituzione: "L’Italia è una Repubblica democratica,
fondata sul lavoro."
Articolo 35 Costituzione: "La Repubblica tutela il lavoro in tutte
le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione
professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le
organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti
del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi
stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro
italiano all'estero."
In epoca repubblicana l'Italia conosce una seconda fase della
legislazione sociale. Fino ad allora il legislatore si è preoccupato di
tutelare il lavoratore subordinato dallo sfruttamento e dalla sua
posizione di inferiorità. Con la Costituzione il legislatore pone i
presupposti per interventi a favore della promozione della libertà e
della dignità sociale dei lavoratori. Nell'ordinamento giuridico
italiano del dopoguerra le principali fonti giuridiche del diritto del
lavoro sono il codice civile, lo Statuto dei diritti dei lavoratori
(legge 300 del 20 maggio 1970) e altre leggi complementari ed
integrative del legislatore come la legge 29/1993 sulla riforma del
diritto del lavoro pubblico, la legge 30/2003 (legge Biagi) e il D.Lgs.
276/2003 sulle forme di flessibilità e di liberalizzazione del mercato
del lavoro privato. Alla fine del secolo Novecento e nei primi anni
Duemila si registra una inversione di tendenza. Il rischio della crisi
economica, la globalizzazione ed una bassa crescita economica spingono
il legislatore italiano ad interventi finalizzati a rimuovere alcune
garanzie, riconosciute in passato ai lavoratori, allo scopo di favorire
la competitività delle imprese italiane nei confronti del resto del
mondo e indirettamente l'occupazione. Le nuove norme sulla flessibilità
del lavoro si traducono, spesso, in una situazione di perdurante
precarietà ed inferiorità dei lavoratori, in particolar modo per quelli
più giovani e per quelli più anziani.
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